Da quando, nel 1971, Federico Faggin creò il microprocessore Intel 4004 a 4 bit basato su un circuito integrato con circa 2000 transistor, la tecnologia dei microprocessori si è evoluta seguendo la legge di Moore, enunciata nel 1965 da Gordon Moore, fondatore di Intel.
Secondo questa legge il numero di transistor, vale a dire l’elemento principale che compone i processori dei computer, raddoppia ogni due anni. E parallelamente raddoppia anche la potenza dei dispositivi.
La Legge di Moore, elaborata nel 1965, è diventata una metafora definitiva per la tecnologica moderna.
Moore aveva ragione; La sua legge è stata verificata fino ad oggi. Nel 1997, tuttavia, ha affermato che questa crescita delle prestazioni dei chip si scontrerebbe con un limite fisico del 2017: quello delle dimensioni degli atomi. Infatti in questi ultimi anni abbiamo visto che il tasso di raddoppiamento della frequenza ha rallentato. Come prova nel 2014, i primi chip incisi in 14 nanometri (nm) – circa 5.000 volte più sottili di un capello – sono arrivati con un anno di ritardo.
L’aumento della capacità di elaborazione predetto da Moore nel 1965 mostra come un singolo dispositivo – per esempio uno smartphone – è diventato potente tanto quanto lo era, solo una generazione fa, un intero insieme di dispositivi elettronici.
Dopo quasi quarant’anni di continui sviluppi il microprocessore Itanium quad core di Intel ha superato la barriera dei 2 miliardi di transistor su un chip: un milione di volte la capienza del 4004.
Ma come disse Moore a queste dimensioni, alcuni elementi del transistor ora sono solo pochi atomi. Stiamo toccando i limiti della fisica. Infatti arriverà un momento in cui non riusciremo più ad accumulare e ad aggiungere transistor su di un singolo circuito. La Legge di Moore dice che a quel punto i cambiamenti e il miglioramento nell’elaborazione dei computer dovrebbero arrivare da un livello atomico, perché i transistor, a un certo punto, non potranno più ridursi oltre un certo limite.