Ho scovato quasi per caso, in internet, una ricerca di Silvio Hénin e Luca Cerrun, che spiega l’importanza della preservazione e dello studio degli oggetti artificiali creati dall’uomo, nella fattispecie computer e macchine per il calcolo.
“Si dice spesso che la tecnologia disumanizza. Non sono d’accordo, per la semplice ragione che l’uomo è naturalmente tecnologico: ovvero concepisce degli strumenti che a loro volta retroagiscono su di lui cambiandolo”, così affermava lo scrittore ed epistemologo Giuseppe Longo in un’intervista rilasciata al quotidiano Repubblica nel 2013. Sembra quindi naturale che raccontare la nostra storia di specie umana non possa prescindere dagli oggetti artificiali che abbiamo creato. Se la tecnologia è una della manifestazioni dell’essere ‘uomo’ fin dalle origini della specie, è negli ultimi tre secoli che si è assistito ad un suo sviluppo esponenziale. Questo rapido progredire delle conoscenze teoriche e delle tecniche applicative ha creato il bisogno di raccogliere le testimonianze sul suo svolgersi e sono così sorti i musei della scienza e della tecnologia ad affiancare le raccolte dei documenti scritti e quelle delle opere d’arte. Come afferma lo storico R. W. Seidel, «L’’uso degli artefatti [storici] come fonte primaria può rispondere a domande cruciali circa il loro sviluppo». Descrivere a parole un meccanismo, anche semplice, è spesso difficile, se non impossibile, mentre poterlo vedere e toccare direttamente, per quanto danneggiato esso sia, aiuta non solo a comprenderlo ma anche a ricostruire il percorso mentale che lo ha prodotto. Per concentrarsi sull’informatica, inoltre, M. M. Burnett, R. M. Supnik sottolineano che “Il costante e veloce progresso della tecnologia informatica provoca la rapida obsolescenza dei sistemi di elaborazione, della loro architettura e delle loro componenti fisiche. Raramente si percepisce il valore dei ‘vecchi’ sistemi, ma la loro perdita è significativa.
La comprensione del passato del computer è vitale per la comprensione del suo futuro, e quindi il restauro funzionale dei manufatti storici, oltre alla pura conservazione, è un’attività importante per gli storici dell’informatica”. L’informatica, come altre tecnologie moderne, ha avuto nel nostro paese un esordio piuttosto lento, ma, una volta introdotta, è stata adottata con grande velocità ed ha influenzato la società e l’individuo, l’economia e la politica, le professioni e i passatempi, come in ogni altro paese avanzato. In Italia, come nelle altre nazioni, sono nati musei di storia dell’informatica e molti entusiasti amatori hanno cominciato a collezionare esemplari di vecchie macchine, raccogliendole, conservandole e rimettendole in funzione, evitando la loro scomparsa nei depositi di rottami. A chi scrive è sembrato quindi opportuno raccogliere informazioni su queste piccole e grandi realtà, cominciando dalle semplici domande su quanti sono, dove sono, cosa raccolgono e cosa fanno.
Noi siamo una di queste piccole realtà dedita alla conservazione e allo studio di queste macchine diversamente destinate all’oblio. Ci sembra doveroso trasmettere ai posteri quella breve storia/evoluzione di un oggetto (macchina da calcolo e computer), che è entrata nella nostra vita in un breve ma intenso periodo storico, dove diverse figure si sono succedute allo studio e alla scoperta di una tecnologia fino ad allora considerata un’utopia !
Nel nostro paese, a differenza di quanto accade all’estero, sono poche le istituzioni e i musei che si dedicano alla valorizzazione della storia delle macchine da calcolo. Nella maggior parte dei casi, si tratta di iniziative private. Un esempio significativo è il Museo della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci di Milano, che fino a pochi anni fa ospitava una sezione chiamata “Sala IBM” (vedi galleria immagini seguente). Questa sezione illustrava l’evoluzione delle macchine da calcolo, ma è stata chiusa, relegando queste affascinanti macchine in freddi e bui depositi.
In passato, i visitatori potevano ammirare l’incredibile evoluzione delle macchine da calcolo, partendo da una macchina del censimento americano di Hermann Hollerith, il fondatore della leggendaria International Business Machines o meglio conosciuta come IBM, fino ad arrivare a una calcolatrice di Giovanni Poleni, una delle prime calcolatrici automatiche del 1700, che utilizzava un sistema a contrappesi per azionare il meccanismo. C’era molto altro da scoprire in quella sala.
È un vero peccato che queste gloriose macchine siano ora riposte su impolverati scaffali di ferro, lontane dalla vista di un pubblico che, forse, è troppo indifferente alla loro straordinaria storia.
Un’altro caso incredibile è il museo Tecnologicamente di Ivrea che ripercorre nelle sue sale la storia di una azienda storica italiana: La Olivetti. Un museo gestito da pochi ma affiatati volontari, ex dipendenti Olivetti, stipato provvisoriamente in un edificio di proprietà della chiesa che ne ha concesso l’uso. Il comune di Ivrea da poca importanza a questa importante bolla della loro storia non concedendo a questa istituzione dei locali dedicati, magari utilizzando ex-edifici della mitica Olivetti ora pure abbandonati. Purtroppo hanno dimenticato il valore che questa società ha portato al loro territorio, diffondendo benessere e conoscenza a molte realtà famigliari e non solo.
Immagini della sala IBM del museo della Scienza e della Tecnica di Milano