Questo interessante strumento, considerato la prima macchina da calcolo della storia, pare abbia incontrato il favore di molti popoli così da essere via via modificato a seconda delle esigenze di ogni singola cultura. Non si sa quale popolo abbia inventato questa semplice ma efficace macchina calcolatrice, forse i babilonesi, ma diverse interpretazioni dell’Abaco le troviamo anche presso i Maya, gli Aztechi, gli Egiziani, i Cinesi, e perfino presso i Romani. La parola “abaco” viene dal semitico “abaq”, che significa “polvere”, “sabbia”, infatti gli abachi più antichi erano tavoli ricoperti da un sottile strato di sabbia sui quali con uno stilo si segnavano i calcoli.
Una nota curiosa: Ecco perché quei laceranti dolori che talvolta qualcuno accusa ai reni o alla cistifellea si chiamano calcoli, perché sono appunto sassolini di sabbia.
Nonostante le varie evoluzioni nei secoli, la struttura dell’Abaco è sempre la stessa da 4000 anni, ed è costituita da un telaio in legno dotato di una serie di colonne verticali sulle quali un certo numero di palline possono scorrere liberamente. Un elemento orizzontale, sempre in legno, divide il telaio in due parti: una superiore e una inferiore. Ciascuna pallina della sezione superiore vale cinque, mentre quelle della sezione inferiore valgono uno. Ogni pallina viene contata allorché la si sposta verso l’elemento di separazione fra le due sezioni dell’Abaco. La colonna più a destra è quella delle unità, quella adiacente verso sinistra è quella delle decine, e così via.
Ancora oggi un operatore che abbia dimestichezza con l’Abaco può manovrare le palline sulle asticelle con enorme velocità di calcolo.
Nel 1946 ebbe luogo una gara tra un soldato americano, un certo Thomas Nathan Wood, e l’impiegato dell’ufficio Risparmi del Ministero dell’Amministrazione Postale Giapponese Kiyoshi Matsuzaki. Ai due furono sottoposti alcuni problemi aritmetici. Il soldato disponeva di una calcolatrice elettrica a comando manuale, mentre Matsuzaki l’Abaco. Matsuzaki vinse sempre!