Mentre la tecnologia informatica è in continua evoluzione e propone sul mercato computer sempre più potenti e di qualità, c’è un nutrito gruppo di persone che continua a guardare al passato e ad apprezzare i computer vecchi di almeno tre decenni. Il fenomeno è detto retrocomputing ed ogni giorno è sempre più forte ed in espansione.
Gli “adepti” di questa disciplina sono orgogliosi di avere in casa dei computer di vecchia data, senza che debbano necessariamente funzionare. La bellezza di questa “passione” sta proprio nella ricerca dei singoli pezzi, nei mercatini, o dimenticati in oscure soffitte, impolverati, e che magari necessitano di un’accurato restauro! Dispositivi sicuramente antiquati per il nostro tempo, ma che hanno fatto la storia dell’informatica o comunque che hanno lasciato un segno indelebile nella vita delle persone negli ultimi 40 anni.
Mercatini, negozi specializzati per la vendita di “computer d’antiquariato” esistono da tempo, ma ora c’è un’esplosione di rivendite anche online dove i prezzi aumentano a dismisura per “quel pezzo” raro e introvabile, senza dimenticare tutti quegli ambienti virtuali, o le associazioni, in cui gli appassionati si ritrovano a discutere e mostrare con orgoglio l’ultima conquista!
Ma il retrocomputing non è un hobby per tutti. Servono conoscenze tecniche, conoscenze approfondite del settore, e talvolta approfondite conoscenze dell’elettronica digitale. Per questo ci sono esperti del settore pronti ad aiutare anche i meno preparati per riportare in vita quel “vecchio cimelio”. Un limite molto più evidente riguarda invece il portafoglio. Proprio come i pezzi di antiquariato, anche le parti di un vecchio computer possono venire a costare centinaia, se non addirittura migliaia, di euro. Con la conseguenza paradossale che per assemblare un computer degli anni ‘90, magari neanche funzionante, si rischia di investire una cifra superiore a quella spesa per un nuovissimo pc di fascia elevata, e di superare talvolta il costo che quel computer aveva quando era regolarmente in commercio.
In realtà le ragioni di chi si dedica al retrocomputing, movimento ben rappresentato anche nel nostro paese, sono molteplici: c’è chi è spinto dalla passione per macchine che hanno fatto la storia, come l’Altair o i più recenti Commodore 64, lo ZX Spectrum o l’Apple II e chi invece è alla ricerca di macchine dal gusto “esotico” come l’IMSAI. C’è chi vede il recupero come una “missione”, per salvare dall’oblio vecchi hardware e magari renderli di nuovo utili o ancora chi è spinto da pulsioni più semplicemente collezionistico-nostalgiche, magari volte a ritrovare calcolatori posseduti nella propria infanzia e poi perduti.
Comune a quasi tutti gli appassionati di retrocomputing è però il sapore archeologico della ricerca, come anche la consapevolezza di immergersi in un mondo diverso, quello del passato, lontano dall’omologazione attuale del settore informatico, un’epoca in cui i vecchi computer facevano “cose diverse” mentre “quelli nuovi fanno tutti le stesse cose”. Altro aspetto fondamentale è quello relativo alla conservazione e della riflessione, non solo per motivi puramente pratici: c’è chi afferma che anche per l’informatica sia giunto il momento di promuovere una seria ricerca storica ed epistemologica sul proprio passato, anche per apprezzare, capire e vivere bene il presente.
Poche invenzioni dell’uomo hanno avuto una evoluzione così rapida e strabiliante come il calcolatore elettronico. La fisica dei semiconduttori e la microelettronica offrono nuovi componenti, che l’industria trasforma in prodotti sempre più piccoli e potenti. Oggi si fanno cose che trenta o quaranta anni fa erano inimmaginabili.
Questa evoluzione genera un certo stupore, e ci porta a voler scoprire come tutto questo ha avuto inizio.
Il lasso di tempo trascorso è così breve che chiunque, oggi, può guardare al futuro e, allo stesso tempo, guardare al recentissimo passato e, appunto, restare stupefatto nel constatare che molti milioni di quei Commodore 64 sono stati molto probabilmente la “scuola” per molti dei programmatori più anziani di oggi.
Non è solo il salto a generare stupore, ma il tempo brevissimo in cui è avvenuto. L’evoluzione tecnologica informatica, procede così velocemente che una tecnologia oggi innovativa è soppiantata in breve tempo da un’altra altrettanto rivoluzionaria e quella obsoleta è realmente inutilizzabile.
Dunque, mentre si procede velocissimi verso il futuro, ci si volta nostalgicamente al passato prossimo a guardare le glorie di pochi anni fa. È l’anima del retrocomputing: preservare la storia dell’informatica, attraverso le persone, l’hardware, il software.
Cresce il numero di appassionati, soprattutto tra coloro che oggi lavorano (e hanno una qualche disponibilità economica) ed erano ragazzi o adolescenti quando stava fiorendo la rivoluzione degli home computer; si potrebbe dire che oggi hanno la possibilità di comprarsi quel computer che allora potevano solo sognare o magari hanno la possibilità di ricreare quella configurazione con cui hanno passato innumerevoli serate divertenti e appassionanti.
Si fruga in cantine e nelle soffitte, vengono alla luce vecchi computer, che alla luce di quanto scritto sopra, sono considerati dei reperti fossili di inestimabile valore. Non è raro vedere annunci del tipo “vendo rarissimo Commodore 64”, dove “rarissimo” mal si sposa con gli oltre 10 milioni di pezzi venduti negli anni!
Inoltre molte aziende hanno la necessità di smaltire vecchio materiale informatico obsoleto, magari lasciato accatastato in magazzino e questo materiale, per i motivi visti sopra, talvolta è intercettato da qualche appassionato e valorizzato per nuovi utilizzi (collezionismo, didattica, esposizioni e così via).
Il sapore di una vera “Archeologia Informatica”!