Nel 1983 l’Olivetti era un’azienda che aveva già vissuto il cambio dell’azionista di riferimento e il passaggio da azienda con una spiccata vocazione per il calcolo meccanico a quella di un’azienda che si doveva confrontare su un mercato affollato come quello del calcolo elettronico. L’anno dopo la presentazione dell’Olivetti M20, avendo intravisto nel settore dei portatili un mercato potenzialmente solido ed in espansione, la Olivetti chiese alla Kyocera (Kyoto Ceramic Co., Ltd.) una versione del suo Kyotronic KC-85, così come avevano fatto NEC per il PC-8201A e Tandy per il TRS-80 Model 100.
Mettendo insieme questa base tecnologica e il design di Perry A. King e Antonio Macchi Cassia, nacque l’Olivetti M10, che rimase in produzione per due anni.
Considerata la copia più riuscita tra le quattro, almeno nella sua composizione iniziale, presentava soluzioni uniche come lo schermo inclinabile che ne aumentavano l’usabilità di molto rispetto ai fratelli, anche considerando che il display a matrice di punti non aveva retroilluminazione.
Grazie a un lettore di codici a barre, acquistabile come accessorio, poteva essere utilizzato per semplici gestioni di magazzino o vendita al banco.
Un accoppiatore acustico poteva consentirne l’uso per collegamento a banche dati (BBS) fino a 9.600 bit/s. Non tutti i modelli di M10 avevano però questa caratteristica.
Nel 1984 le vendite furono in termini numerici pari a circa 24.000 pezzi, ma ben più sorprendenti in termini di percentuali di mercato, pari al 70% del mercato italiano dei portatili e il 22% di quello europeo.
L’anno successivo, tuttavia, il prodotto ebbe scarsissimo successo e fu mandato fuori produzione; probabilmente perché mentre il mercato e i fratelli evolvevano, l’M10 rimase uguale.